“Scicli, o della Madonna a Cavallo”: così
Lionello Fiumi titola un suo scritto, sottolineando il profondo rapporto tra la
nostra città e la Vergine Maria. Un rapporto la cui radice si perde nei meandri
della storia, che si nutre di gesti di amore da entrambe le parti, e che si
riassume nell’appellativo di SANCTA MARIA MILITUM PRO SCICLENSIBUS, Santa Maria
dei soldati a favore degli sciclitani, attribuito alla nostra Madonna, e
nell’evento a cui questo si riferisce: l’intervento della vergine Maria proprio
a favore della sua città diletta. E Scicli non dimentica la “sua” Madonna.
La festa che ancora
oggi proprio gli sciclitani vogliono che sia celebrata indica quanto questo
evento sia radicato nel cuore della nostra identità cittadina. E a chi pensa
che questa sia ormai roba d’altri tempi, non più riproponibile oggi in un clima
di secolarizzazione in cui difficilmente si è disponibili a credere ai
miracoli, che la ripresentazione di questa festa faccia correre il
rischio di sollevare gli animi verso nuove guerre sante, rivolgiamo l’invito da
un lato a voler guardare le cose con un distaccato senso storico e dall’altro a
non voler pregiudizievolmente attribuire agli sciclitani la
incapacità di saper operare una lettura serena e pacata sia dell’evento
stesso, quale che sia storicamente stato, sia di una sua possibile
attualizzazione cogliendone la pluralità di letture e di significati che
da questo ne deriva.
Nel medioevo ad esempio si era sviluppata una lettura della Bibbia, ma insieme dei testi classici, su quattro livelli: letterale (= storico), allegorico (= il piano teologico), morale (=l’insegnamento etico che ne deriva), anagogico (=il comportamento in vista del futuro). Livelli in cui uno presuppone l’altro e che poi si integrano a vicenda.
Vorrei dunque tentare di leggere anch’io secondo questi quattro livelli la tradizione del miracolo della Madonna delle Milizie o dei Mulici che dir si voglia.
Dell’evento noi
abbiamo una duplice tradizione: un documento (sulla cui veridicità o meno molto
si è discusso) e una sua “interpretazione” legata alla sacra rappresentazione.
Cosa c’è dunque in sintesi a fondo della tradizione? La memoria di un
intervento miracoloso di Maria a difesa della città di Scicli. Ricordiamo il
fatto come ci viene raccontato: siamo alla fine della quaresima e sulla
spiaggia di Micenci sbarcano truppe saracene volte alla conquista/riconquista
di Scicli. Gli sciclitani inferiori per numero e forza cercano di contrastarli
e si appellano all’intercessione di Maria. Quando la battaglia sta per volgere
sfavorevolmente contro gli sciclitani ecco il segno nel cielo: Maria con il
Figlio nel braccio sinistro e nella destra una spada che rincuora i combattenti
“Eccomi, città mia diletta, ti proteggerò con la mia destra”. Gli sciclitani
prostrati alzano gli occhi e vedono, mentre il nemico scappa per la confusione,
che sta arrivando in soccorso un gruppo di cavalieri normanni che completano
l’inseguimento dei saraceni. Comunque dunque lo si voglia leggere noi siamo
certi che un “qualcosa” deve esserci stato, se questo evento si è talmente
radicato nella coscienza degli sciclitani al punto da costituirne parte
integrante di una identità peculiare.
Ma come leggere questo
evento oggi? Superato lo “scandalo iconografico” di una Madonna a cavallo e con
la spada in mano, come non leggervi la lezione del “Dio delle schiere
angeliche” che “con mano potente e braccio disteso” fa uscire Israele
dall’Egitto e combatte a favore del suo popolo? Cioè, uscendo fuor di metafora,
come non leggervi quell’esperienza di fede in cui il Dio biblico si schiera
sempre dalla parte dei poveri e degli oppressi?
In questo senso
infatti l’esperienza storica particolare di un popolo (l’invasione saracena
prima e le scorrerie barbaresche dopo e la sperimentata protezione divina, in
qualsiasi modo questa sia avvenuta) diventa “luogo teologico”, un luogo cioè
dove cogliere e scoprire il volto di Dio che rivela il suo amore che salva e
riscatta. Perché lui è il Signore della storia. E per favore lasciamo qui stare
tutte le lezioni di buonismo che noi vorremmo impartire a Dio e alla Vergine,
del tipo “ma se è padre, madre di tutti, perché poi si schiera con un gruppo
contro un altro gruppo?” Il Dio biblico è sempre un Dio di parte, checchè ne
dicano i benpensanti. Come poi lui riesca a mettere insieme amore universale e
predilezione particolare lasciamolo fare a lui! Forse ci aiuterà questo
commento rabbinico all’episodio in cui il Faraone e la sua armata furono
travolti tutti dalle acque del Mar rosso: si dice che in quel momento gli
angeli in cielo cominciarono ad esultare ma Dio li rimproverò dicendo di non
poter gioire perché mentre alcuni figli si erano salvati (gli ebrei) altri (gli
egiziani) erano annegati. E alla domanda del perché allora l’avesse permesso
Dio rispose di averlo dovuto fare se pur con dolore, perché lui è sempre dalla
parte di chi soffre di più!
O ancora, come non
leggere – metastoricamente – nei segni della vittoria della Vergine i segni
della profezia genesiaca della sconfitta del serpente dell’Eden o del trionfo
escatologico sul drago dell’Apocalisse (icastiche immagini del male)? E così,
dunque, lo stesso “memoriale” dell’evento, rivissuto oggi nella forma della
“sacra rappresentazione”, acquista la dimensione propria del dramma sacro (Bene
e Male in duello!) con la sua funzione “catartica”, di purificazione cioè dei
sentimenti, che vede il suo apice nella apparizione del simulacro della
Vergine, quasi “deus ex machina”, che, al di là delle apparenze, diventa
foriero di spirituale pacificazione.
Ma il messaggio
dell’evento, occorre ancora considerare, non può essere ristretto al puro
ambito religioso-ecclesiale. Se Scicli è della Madonna a cavallo, la Madonna a
cavallo è di Scicli! La Madonna a cavallo ha contribuito a creare e mantenere
quella identità della collettività sciclitana, entrando nel patrimonio storico
di questa e qualificandone i tratti non solo a livello religioso ma anche
culturale e sociale.
Allora la festa dei
“Mulici”, con l’evento stesso a cui si richiama, lungi dall’essere destinata ad
una “damnatio memoriae”, ha per noi sciclitani un significato profondo e può
suscitare ancora profondi stimoli di riflessione.
Infatti non si tratta
qui della riproposizione di visioni trionfalistiche di un passato che comunque
ci appartiene, e neanche di scadere in un folklorismo fine a se stesso, come
purtroppo oggi un po’ dappertutto sta avvenendo, quanto invece del coraggio di
volere apprendere quelle lezioni di vita che solamente la storia e il Dio della
storia sanno impartire, per il vivo recupero della identità di un popolo che,
forte del suo passato, sa capire il presente e guardare al futuro.