venerdì 31 maggio 2019

LA MADONNA DELLE MILIZIE



 “Scicli, o della Madonna a Cavallo”: così Lionello Fiumi titola un suo scritto, sottolineando il profondo rapporto tra la nostra città e la Vergine Maria. Un rapporto la cui radice si perde nei meandri della storia, che si nutre di gesti di amore da entrambe le parti, e che si riassume nell’appellativo di SANCTA MARIA MILITUM PRO SCICLENSIBUS, Santa Maria dei soldati a favore degli sciclitani, attribuito alla nostra Madonna, e nell’evento a cui questo si riferisce: l’intervento della vergine Maria proprio a favore della sua città diletta. E Scicli non dimentica la “sua” Madonna.

La festa che ancora oggi proprio gli sciclitani vogliono che sia celebrata indica quanto questo evento sia radicato nel cuore della nostra identità cittadina. E a chi pensa che questa sia ormai roba d’altri tempi, non più riproponibile oggi in un clima di secolarizzazione in cui difficilmente si è disponibili a credere ai miracoli, che la ripresentazione di questa festa  faccia correre il rischio di sollevare gli animi verso nuove guerre sante, rivolgiamo l’invito da un lato a voler guardare le cose con un distaccato senso storico e dall’altro a non voler pregiudizievolmente  attribuire agli sciclitani la incapacità  di saper operare una lettura serena e pacata sia dell’evento stesso, quale che sia storicamente stato, sia di una sua possibile attualizzazione  cogliendone la pluralità di letture e di significati che da questo ne deriva.

Nel medioevo ad esempio si era sviluppata una lettura della Bibbia, ma insieme dei testi classici, su quattro livelli: letterale (= storico), allegorico (= il piano teologico), morale (=l’insegnamento etico che ne deriva), anagogico (=il comportamento in vista del futuro). Livelli in cui uno presuppone l’altro e che poi si integrano a vicenda.

Vorrei dunque tentare di leggere anch’io secondo questi quattro livelli la tradizione del miracolo della Madonna delle Milizie o dei Mulici che dir si voglia.

Dell’evento noi abbiamo una duplice tradizione: un documento (sulla cui veridicità o meno molto si è discusso) e una sua “interpretazione” legata alla sacra rappresentazione. Cosa c’è dunque in sintesi a fondo della tradizione? La memoria di un intervento miracoloso di Maria a difesa della città di Scicli. Ricordiamo il fatto come ci viene raccontato: siamo alla fine della quaresima e sulla spiaggia di Micenci sbarcano truppe saracene volte alla conquista/riconquista di Scicli. Gli sciclitani inferiori per numero e forza cercano di contrastarli e si appellano all’intercessione di Maria. Quando la battaglia sta per volgere sfavorevolmente contro gli sciclitani ecco il segno nel cielo: Maria con il Figlio nel braccio sinistro e nella destra una spada che rincuora i combattenti “Eccomi, città mia diletta, ti proteggerò con la mia destra”. Gli sciclitani prostrati alzano gli occhi e vedono, mentre il nemico scappa per la confusione, che sta arrivando in soccorso un gruppo di cavalieri normanni che completano l’inseguimento dei saraceni. Comunque dunque lo si voglia leggere noi siamo certi che un “qualcosa” deve esserci stato, se questo evento si è talmente radicato nella coscienza degli sciclitani al punto da costituirne parte integrante di una identità peculiare.

Ma come leggere questo evento oggi? Superato lo “scandalo iconografico” di una Madonna a cavallo e con la spada in mano, come non leggervi la lezione del “Dio delle schiere angeliche” che “con mano potente e braccio disteso” fa uscire Israele dall’Egitto e combatte a favore del suo popolo? Cioè, uscendo fuor di metafora, come non leggervi quell’esperienza di fede in cui il Dio biblico si schiera sempre dalla parte dei poveri e degli oppressi?

In questo senso infatti l’esperienza storica particolare di un popolo (l’invasione saracena prima e le scorrerie barbaresche dopo e la sperimentata protezione divina, in qualsiasi modo questa sia avvenuta) diventa “luogo teologico”, un luogo cioè dove cogliere e scoprire il volto di Dio che rivela il suo amore che salva e riscatta. Perché lui è il Signore della storia. E per favore lasciamo qui stare tutte le lezioni di buonismo che noi vorremmo impartire a Dio e alla Vergine, del tipo “ma se è padre, madre di tutti, perché poi si schiera con un gruppo contro un altro gruppo?” Il Dio biblico è sempre un Dio di parte, checchè ne dicano i benpensanti. Come poi lui riesca a mettere insieme amore universale e predilezione particolare lasciamolo fare a lui! Forse ci aiuterà questo commento rabbinico all’episodio in cui il Faraone e la sua armata furono travolti tutti dalle acque del Mar rosso: si dice che in quel momento gli angeli in cielo cominciarono ad esultare ma Dio li rimproverò dicendo di non poter gioire perché mentre alcuni figli si erano salvati (gli ebrei) altri (gli egiziani) erano annegati. E alla domanda del perché allora l’avesse permesso Dio rispose di averlo dovuto fare se pur con dolore, perché lui è sempre dalla parte di chi soffre di più!

O ancora, come non leggere – metastoricamente – nei segni della vittoria della Vergine i segni della profezia genesiaca della sconfitta del serpente dell’Eden o del trionfo escatologico sul drago dell’Apocalisse (icastiche immagini del male)? E così, dunque, lo stesso “memoriale” dell’evento, rivissuto oggi nella forma della “sacra rappresentazione”, acquista la dimensione propria del dramma sacro (Bene e Male in duello!) con la sua funzione “catartica”, di purificazione cioè dei sentimenti, che vede il suo apice nella apparizione del simulacro della Vergine, quasi “deus ex machina”, che, al di là delle apparenze, diventa foriero di spirituale pacificazione.

Ma il messaggio dell’evento, occorre ancora considerare, non può essere ristretto al puro ambito religioso-ecclesiale. Se Scicli è della Madonna a cavallo, la Madonna a cavallo è di Scicli! La Madonna a cavallo ha contribuito a creare e mantenere quella identità della collettività  sciclitana, entrando nel patrimonio storico di questa e qualificandone i tratti non solo a livello religioso ma anche culturale e sociale.

Allora la festa dei “Mulici”, con l’evento stesso a cui si richiama, lungi dall’essere destinata ad una “damnatio memoriae”, ha per noi sciclitani un significato profondo e può suscitare ancora profondi stimoli di riflessione.

Infatti non si tratta qui della riproposizione di visioni trionfalistiche di un passato che comunque ci appartiene, e neanche di scadere in un folklorismo fine a se stesso, come purtroppo oggi un po’ dappertutto sta avvenendo, quanto invece del coraggio di volere apprendere quelle lezioni di vita che solamente la storia e il Dio della storia sanno impartire, per il vivo recupero della identità di un popolo che, forte del suo passato, sa capire il presente e guardare al futuro.